L’utopia come forma di vita

a cura di GIANFRANCO FERRARO, FRANCESCO BIAGI, MANUELE MASINI

Uscita prevista: Dicembre 2019.

Come pensare oggi l’utopia? C’è ancora spazio per il suo «spirito»? Come riflettere sulle tradizioni del pensiero utopico a partire dalla domanda di un «altrove» che ci pone il presente? O ancora nel senso di un kairos, di un qui e ora altro, di una ucronia permanente che ridisegna il tempo a partire da un orizzonte di attesa? Può ancora l’utopia, con le sue figure, ma innanzitutto con il suo appello ad un mondo altro, ad una vita altra, presentare uno scarto rispetto alle forme di vita della contemporaneità?

Questo numero intende riprendere il filo di ricerca che alcuni studiosi, negli ultimi anni – Miguel Abensour, Luciano Canfora, Pierre Macherey – hanno tracciato per ripensare il significato della tradizione utopica moderna. Al tempo stesso, il nostro tentativo è quello di riflettere su alcuni possibili itinerari che, attraverso autori come Pierre Hadot e come Michel Foucault, o come attraverso l’eterodosso pensiero utopico di Cioran, ci impongono di ripensare le utopie moderne, da quelle umaniste di Moro, Campanella e Bacon, a quelle di Fourier, di Blanqui, di Proudhon, a quelle rappresentate dalle forme di vita dei rivoluzionari del XIX e del XX secolo, anche attraverso la tradizione della «conversione», o dell’archeologia delle forme di vita «altre». Particolare riguardo potrà avere anche la riflessione sulla relazione utopia/profezia, sia, sul piano contemporaneo, per quanto riguarda il rapporto, conflittuale e fecondo, fra questi due concetti (dallo studio dei rispettivi campi semantici di appartenenza, alla loro proiezione teorica: cfr. W. Benjamin, G. Lukács, A. da Silva, E. Buonaiuti, K. Löwith, P. Ricoeur, E. Cioran), sia rispetto il tentativo di una riscrittura del pensiero utopico e profetico.

Uno «spirito dell’utopia», come spiegava Ernst Bloch, continua sempre a farsi strada laddove gli orizzonti della storia e dell’esistenza appaiono più fermi, e il crollo delle grandi ideologie del ‘900, anche grazie alla distinzione operata da Mannheim, non coincide necessariamente con la scomparsa di quello spirito. È in questo che possiamo riconoscere forse uno degli elementi fondamentali dell’utopia: sia che essa si incarni in forme di meditazione su un altrove lontano che aiuta a pensare meglio il «luogo» presente, come poteva accadere nel 1516, quando Moro scriveva del fantastico viaggio del marinaio portoghese Itlodeo, al seguito del realissimo navigatore fiorentino Vespucci, sia che essa si incarni in pratiche della letteratura e dell’arte, l’utopia sembra, più che implicare una forma di società da attuare, voler presentare una visione dell’altrove, ma anche del costante divenire di un presente che guarda ad un futuro imprevedibile. L’utopia e il chiliasmo dei moderni, proprio attraverso i loro legami con le tradizioni dell’antichità, le kallipoleis platoniche o i «mondi altri» dell’esperienza religiosa, continua a «fare problema», a mettere in questione le forme di ogni potere e di ogni verità. Del resto, proprio alle soglie della modernità, utopia e apocalittica profetica si incontrano: il gioachimismo (e tutta una tradizione successiva che ne discende), così come Thomas Müntzer, riportano l’antico al di là, ad un altrove da realizzare in terra, e la loro influenza si incrocerà più volte, nei secoli successivi.

Qual è il rapporto, di legame e di differenza, che attraversa l’utopia e la profezia dei moderni?

La nozione positiva di utopia, proposta ad esempio da Abensour e Macherey, si contrappone a quella, caduta in discredito al termine del secolo passato e rifiutata come uno sconveniente residuo di tempi violenti e autoritari. Oltre che desueta, l’utopia è stata considerata complice dei totalitarismi del secolo breve. Abensour restituisce invece valore all’immaginazione utopica, unita a un pensiero critico radicale, sulla scia di una interpretazione di Marx, che non sottovaluta il socialismo utopico, ma ne raccoglie l’eredità, trasformandone le immagini di sogno in teoria politica dell’azione storica. In questo senso, il comunismo critico marxiano non negherebbe quindi l’utopia, ma la rimetterebbe in connessione con l’azione e la trasformazione sociale (anche attraverso un fondo profetico mai scomparso e interno al pensiero di Marx, come ben evidenziato dalla lettura dei suoi testi-chiave fatta da Eduardo Sanguineti). Macherey, d’altro canto, ribadisce per vie differenti da quelle di Abensour come l’utopia, appunto diventata «concreta», non è solo contemplativa, ma istigazione all’atto sovversivo, perché si oppone al regime distopico della modernità e immagina un’alternativa, come avvenne nella Comune di Parigi e in tutte le brecce storiche e letterarie di cui il pensiero utopico, così come una linea di pensiero profetico immanente, è stato in qualche modo motore. In questo senso, utopia e profezia costituiscono un appello che non smette di ripresentarsi continuamente nel cono d’ombra del presente.

Si tratta allora, una volta ancora, di riprendere in mano il filo dell’utopia, di capire come il suo spirito, pur non volendo attuare forme, riesce a trasformare quelle presenti: della filosofia, della politica, dell’arte, degli stessi spazi in cui abitiamo, delle nostre città, dei nostri corpi. Siamo forse –come si chiedeva Abensour – più che animali politici, animali utopici? E in che modo, da uomini e donne del XXI secolo, viviamo e possiamo vivere questa animalità? Come possiamo esprimerla?

Il numero ha chiaramente una vocazione transdisciplinare: il pensiero politico e la filosofia sono lo sfondo entro cui si possono proporre anche riflessioni teologiche, sociologiche e antropologiche, così come di teoria dell’arte, della letteratura, del cinema, dell’urbanismo e dell’architettura utopica e paesaggista. I curatori sperano di sollecitare, in questo senso, anche un punto di vista volto a decostruire una prospettiva meramente eurocentrica e occidentalistica.

 

Regole di presentazione dell’abstract:

Il testo non dovrà superare le 600 parole, e dovrà contenere una sintesi dei temi e dell’argomentazione dell’articolo, evidenziandone l’attinenza col numero monografico. Occorre inoltre indicare eventuali autori o opere che si intendono analizzare, per un massimo di 5 riferimenti bibliografici ritenuti essenziali. È importante anche mettere in risalto l’originalità del contributo in relazione allo stato dell’arte del tema proposto. L’abstract dovrà essere inviato in formato .doc e .pdf in forma anonima al seguente indirizzo e-mail:

redazionethomasproject@gmail.com

Nel corpo della mail andranno inseriti nome, eventuale afferenza istituzionale, indirizzo dell’autore (o degli autori).

 

Tempistica e scadenze:

30 Giugno: consegna degli abstract.

15 Luglio: risposta agli autori.

15 Settembre: consegna dell’articolo definitivo.

15 Settembre – 15 Ottobre: periodo dei lavori di referaggio e invio di eventuali proposte di modifica.

30 Ottobre: consegna dell’articolo corretto.

30 Ottobre – 30 Novembre: periodo dei lavori redazionali, di impaginazione e verifica editoriale.

Mese di Dicembre: uscita del numero.