TP7-8 (5-9)

Presentazione del numero / Editorial | Lucien Goldmann – Franco Fortini, pp. 5-9

Roberto Bravi, Marco Gatto, Guido Grassadonio

DOI: https://doi.org/10.17375/1516utopiasthomasproject/2022/7/8/0

Questo numero è il frutto di molti mesi di lavoro, iniziato in un contesto diverso, sia esistenziale per le persone che hanno curato il numero, sia geopolitico. In questo senso, pur riflettendo su temi politici e volendo dare uno sguardo contemporaneo al pensiero e all’opera di figure che sentiamo attuali, non riflette in alcun modo i nuovi problemi, le paure e le angosce che per forza di cose informano le riflessioni di ognuno di noi. Potremmo nasconderci dietro la saggezza di Hegel, ricordando che la filosofia è strutturalmente in ritardo rispetto al corso degli eventi, ma sarebbe poco saggio da parte nostra. Meglio, forse, ammettere che un certo sentimento di smarrimento da parte di un lettore, soprattutto se non specialista, è del tutto comprensibile.

L’idea nasce dalla constatazione che i due autori in questione vivono una fortuna simile nel dibattito attuale: non scomparsi dai radar – Fortini gode di un numero di specialisti importante, in Italia –, ma quasi mai centrali.

Entrambi esponenti della “corrente calda” del marxismo, strettamente legati tra loro – Fortini, come si sa, ha co-tradotto Le dieu caché – sono poi raramente studiati assieme (anche per questioni meramente disciplinari). Negli archivi di Caen, vi sono ancora delle lettere inedite che questi due personaggi si sono scambiati. Lettere di cui non siamo riusciti ad ottenere il permesso di leggerle ed eventualmente pubblicare, ma il cui recupero resta un’ipotesi per lo sviluppo futuro del nostro lavoro.

I legami però non possono nascondere anche le distanze fra le due personalità. Differenze caratteriali, con un Fortini decisamente più esuberante rispetto al franco-rumeno, e chiaramente anche più dotato da un punto di vista letterario e più prono al dibattito acceso. Goldmann, dal canto suo, è sempre rimasto fedele ad un approccio più accademico, ruolo che ha vissuto come una vera missione politica e che non gli ha impedito di sviluppare negli anni posizioni radicalmente originali – sviluppare un «marxismo pascaliano», per citare Löwy, non è da tutti – e quasi sempre contro corrente.

Anche la tesi di una prossimità filosofica, in apparenza evidente dato che il poeta italiano utilizza spesso i lavori dell’altro come fonte di riflessione, è in parte da rivedere o comunque da relativizzare. Rileggendo il breve saggio di Fortini su Goldmann e discutendone apertamente con Jacques Leenhardt, durante un incontro privato, ci siamo ritrovati a concordare con quest’ultimo sul fatto che il poeta ed intellettuale italiano abbia offerto un’interpretazione del tutto personale e poco accurata del pensatore francese. Ma, parafrasando lo stesso Goldmann, la scoperta di un’influenza di un pensatore su un altro non è mai una constatazione fine a se stessa quanto l’inizio di una domanda: perché Fortini ha avuto bisogno dell’autore de Le dieu caché per sviluppare il suo pensiero e cosa di Goldmann ha preso, cosa ha lasciato, cosa lo ha interessato, cosa ha travisato… e perché ha avuto bisogno di travisarlo?  L’augurio è che una risposta parziale possa venire da questo numero.

Questi due autori hanno, in modi in parte diversi, cercato di rappresentare il marxismo militante e filosofico in tempi di crisi, del marxismo e del ruolo stesso dell’intellettuale militante. Anche se tanto è successo da allora, le loro scommesse politiche ci sono sembrate in qualche modo interrogare profondamente anche il presente (che di crisi ne vive parecchie). Con molta curiosità abbiamo atteso di vedere come i partecipanti al numero avrebbero interpretato questo fatto. Il risultato ci sembra, ed è innanzi tutto merito loro, notevole. Il nostro pari è che si possa iniziare da qui non solo un processo di scoperta di questi due autori, ma che ognuno di essi possa finalmente entrare in maniera più viva nel campo di ricerca degli specialisti dell’altro.

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Abbiamo deciso di aprire il numero con l’articolo di Luca Mozzachiodi. Scelta logica, perché l’autore realizza una splendida introduzione al tema della ricezione della prima parte dell’opera goldmanniana in Italia. Il focus spazia su diversi autori (Del Noce, Amodio, ecc.), ma ha chiaramente in Fortini l’assoluto protagonista. Mozzachiodi ci racconta il dibattito italiano di quegli anni (la fine degli anni ‘50, i primi ‘60) marcati dallo shock dei fatti d’Ungheria, in cui una riflessione politica sulla tragicità era necessaria, prima ancora che per motivi teoretici, per ragioni meramente esistenziali e personali di ogni intellettuale marxista o comunque progressista. L’eredità di Lukács e la centralità del pari pascaliano sono presentati in tutta la loro profondità. Da rimarcare come Mozzachiodi non disdegni di prendere in esame en passant anche opere successive di Goldmann e di non fossilizzarlo nelle sue posizioni, ben più celebri, de Le dieu caché.

Segue l’articolo di Andrea Cavazzini che si orienta similmente nel problema della ricezione italiana dell’opera di Goldmann con focus su Fortini, Amodio e Ranchetti.  In questo caso, la scelta non è quella di proporre una lettura di gran respiro, ma di concentrarsi soprattutto sull’analisi di tre saggi scritti dai tre autori sopracitati. Cavazzini mette bene in luce l’aspetto critico di tale lavoro e mostra come i tre autori abbiano proposto tre letture diverse de Le dieu caché, con una diversità pregna di significati. In particolar modo, l’analisi della posizione di Luciano Amodio, mostra come questa sia, prima ancora che una presa di distanza nei confronti del sociologo franco-rumeno, una polemica con il vecchio compagno di lotte Franco Fortini. Notevole, a nostro parere, la presentazione operata da Cavazzini delle critiche fortiniane a Goldmann.

Il terzo articolo è quello di Aaron Jaffe e affronta il rapporto Goldmann-Fortini da un punto di vista diverso, ovvero come quello di autori profondamente marcati dalla lettura di Storia e coscienza di classe e degli scritti precedenti di G. Lukács. Interessante notare come, anche in questo caso, la scelta sia quella di soffermarsi soprattutto sui primi scritti di Goldmann. Ad ogni modo, Jaffe mette in luce quali siano i concetti lukácsiani che diventano centrali in Le dieu caché. Molta importanza viene data alla creazione da parte di Goldmann del concetto di «massima coscienza possibile», che è chiaramente centrale nella sua sociologia. Se il fulcro del discorso sembra essere quello, classico, del rapporto teoria-prassi, l’articolo prende alla fine posizione a favore di Fortini, argomentando sulla superiorità della proposta di quest’ultimo, non fosse altro per il maggiore ancoraggio alle condizioni reali del proletariato in quegli anni.

L’articolo seguente è a firma Gabriele Fichera ed è una virata verso l’aspetto più letterario della riflessione fortiniana. Il pensiero politico-filosofica resta comunque centrale ed il tema è la questione goldmanniana del tragico e del pari/scommessa e delle tensioni propriamente religiose ed escatologiche interne a Le dieu caché e Storia e coscienza di classe. L’articolo è notevole ed è quello che più va vicino ad un tema che ci sarebbe piaciuto vedere maggiormente esplicitato, ma che è passato in sordina, quello dell’influenza di Weil nel Fortini di quegli anni (il «grande animale» di cui parla un saggio fortiniano citato da Fichera, sembra proprio il Platone filtrato dagli scritti di Weil tradotti dallo stesso Fortini) e nella sua maniera di leggere il tragico in Goldmann.

Il nostro collega, Marco Gatto, propone poi un articolo che si concentra sul classico problema della del rapporto fra produzione di un testo e contesto (storico e/o sociale) in cui tale produzione avviene. L’argomento è trattato concentrandosi sulle posizioni in merito di Fortini. Si tratta comunque di un tema eminentemente goldmanniano, così come comuni a Goldmann sono alcuni dei riferimenti filosofici propri della proposta fortiniana, su tutti la rilevenza della categoria lukacisana della totalità.

In chiusura al nostro numero, prima delle interviste a Marc Zimmerman e Michael Löwy, troviamo un articolo di Giovanni Campailla. Soggetto di tale testo è la questione dell’umanesimo nel dibattito marxista dell’epoca e, secondariamente, la sua possibile rilevanza oggi. Con un piglio ed un’attenzione storica ammirevole, Campailla propone un percorso attraverso il pensiero di Edwar Palmer Thompson, senza dimenticare di metterlo in prospettiva con le proposte di altri autori fra cui naturalmente Goldmann e Fortini. In particolare, l’articolo ha il merito di mettere in luce come il dissidio teorico Thompson-Althusser si chiuda con una posizione umanista da parte dello storico inglese, che pur cercando di mantenere l’autonomia dell’umano dal contesto sociale, non cade in forme di ontologia antropologica forti, tanto criticate dallo strutturalista francese. Per vie diverse, è questo anche il risultato dell’umanesimo goldmanniano e, con le dovute cautele che sono proprie dell’approccio di Campailla, un parallelismo con Thompson ci sembra un argomento originale e prezioso.

Le due interviste che chiudono il nostro numero, sono state realizzate via mail. Ringraziamo Zimmerman e Löwy per il tempo dedicato al nostro progetto. In particolare il primo ci ha inviati decine di spunti interessanti, intrecciati fra loro. Per necessità tematica e di sintesi siamo stati costretti ad un pesante editing che ha tagliato alcune risposte.

Entrambi sono tra gli specialisti di Goldmann più eminenti al mondo. Il franco-brasiliano è però decisamente più noto in ambito europeo e, per questo motivo, abbiamo concentrato l’intervista su alcuni temi specifici, in cui ci sembrava articoli precedenti non avessero ancora chiarito la sua posizione. L’intervista di Zimmerman spazia sicuramente su argomenti più vari e permetterà al lettore di conoscere meglio il suo approccio al pensiero goldmanniano.