Le difficoltà dei vaccini in Sierra Leone

di Luca Onesti

Freetown, Sierra Leone, 15 luglio 2021. Nessuna fila per le persone che arrivano alla spicciolata a vaccinarsi in uno dei punti di somministrazione più centrali della capitale, lo Youyi bulding, imponente edificio ministeriale non lontano dallo stadio Siaka Stevens. Le vaccinazioni si svolgono nel parcheggio dell’edificio, i due vaccini tra cui è possibile scegliere sono il cinese Sinopharm e il Covishield, vaccino di formulazione Oxford/AstraZeneca prodotto dal Serum Institute of India.

La Sierra Leone (popolazione 7.8 milioni di abitanti) ha iniziato la sua campagna vaccinale, grazie al programma Covax, l’8 marzo 2021, con l’arrivo delle prime 96 mila dosi, frazione della fornitura di 528 mila previste per la prima fase. A queste dosi se ne sono aggiunte poi altre 42 mila (AstraZeneca) donate dall’Unione Africana e ancora 200 mila (Sinopharm) donate dal governo cinese e infine, domenica 8 agosto, di nuovo 96 mila dosi (AstraZeneca) donate dal governo frencese e con l’egida di Covax. La copertura totale garantita da queste forniture non supera, tenendo conto della doppia dose, il 6% della popolazione.

Il programma Covax (acronimo di COVID-19 Vaccines Global Access), nato su iniziativa della Commissione Europea, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e del governo francese, riunisce una serie di organizzazioni internazionali e di paesi, per una coordinazione volta a fornire vaccini per il Covid-19 ai paesi a medio e basso reddito. Composto, dal lato dei donatori, dai paesi ad alto reddito e da una serie di organizzazioni internazionali – come la stessa OMS, l’UNICEF e enti di cooperazione che riuniscono istituti pubblici e privati come GAVI (Global Alliance for Vaccines and Immunisation) –, e dal lato dei donatari da molti paesi africani e non solo  (con tutta un’altra serie di paesi che aderiscono a diverso titolo), il programma si è proposto inizialmente di fornire 1,3 miliardi di dosi alle popolazioni più vulnerabili di 92 paesi entro la fine del 2021. È grazie a questo programma che sono arrivate le prime dosi ai paesi africani, ma i propositi iniziali sono stati via via ridimensionati e le consegne hanno subito non pochi ritardi.

Per quanto riguarda la Sierra Leone, il 19 luglio il Presidente Julius Maada Bio, insieme al ministro della Sanità Austin Demby, a seguito di una videoconferenza con Seth Berkley, CEO della Gavi, ha annunciato l’arrivo a breve di nuove dosi, sempre all’interno del programma Covax.

Fino ad oggi però il paese – che nel mese di giugno ha visto una crescita senza precedenti dei casi di Covid-19 – ha somministrato, secondo i dati disponibili, solo 225.380 dosi, con una copertura di circa l’1,4% della popolazione. Per di più, un certo numero di dosi AstraZeneca (13 mila dosi secondo il governo), donate dall’Unione Africana e arrivate il 20 marzo, non sono state somministrate in tempo prima della troppo vicina data di scadenza del 13 aprile.

Le dosi disponibili nel paese, dunque, sono insufficienti per una copertura anche minima della popolazione, e non si può dire che non ci siano difficoltà e ritardi anche per quanto riguarda la loro somministrazione. Da un lato, i ritardi nelle consegne fanno sì che i tempi di scadenza dei vaccini siano difficili da rispettare e le incertezze sulle forniture nei prossimi mesi rendono difficile la pianificazione di una campagna vaccinale efficace. Da un altro lato, bisogna fare i conti con i sospetti e le paure legati ai vaccini. La propensione a vaccinarsi nel paese è sicuramente cresciuta dal momento in cui, in Sierra Leone come in altri paesi africani, il numero dei casi ha preso ad aumentare velocemente, probabilmente sospinto dal diffondersi della variante Delta, ma, nonostante gli sforzi, rischia di rimanere bassa.

Questa difficoltà richiede un lavoro costante e di lungo termine di informazione e sensibilizzazione della popolazione, oltre che tutta una serie di attività di outreach sul territorio. Non solo: bisogna comprendere come quella scarsa propensione sia in realtà legata non solo alla mancanza di informazione ma anche alla stessa inequità vaccinale a livello globale e alla negazione del diritto alle cure e alla salute. Come ha scritto un gruppo di ricercatori che ha studiato e messo a confronto i trials per i vaccini per l’Ebola in Sierra Leone con la percezione e le opinioni delle persone nello stesso paese riguardo ai vaccini per il Covid-19, è necessario «prendere sul serio le preoccupazioni specifiche e spesso legittime che le persone hanno riguardo ai nuovi vaccini. […] [D]obbiamo riconoscere che la fiducia nei vaccini non può essere dissociata dalla sfiducia nel sistema sanitario più in generale e nelle istituzioni politiche, compresi gli organismi internazionali. […] Con la fiducia nella vaccinazione così strettamente legata alle disuguaglianze strutturali nell’accesso a un’assistenza sanitaria di qualità, e visto anche il de-finanziamento a lungo termine dei servizi sanitari attraverso le politiche internazionali, le questioni dell’accesso e della domanda ci sembrano più difficili da distinguere.» E, soprattutto, fa notare lo stesso gruppo di ricercatori, «[m]entre continuiamo a sostenere l’espansione dell’offerta e dell’accesso ai vaccini, anche attraverso la rinuncia alla proprietà intellettuale, il trasferimento delle conoscenze e l’aumento della produzione e dei meccanismi di consegna, dovremmo anche espandere la nostra comprensione della giustizia dei vaccini e aprire lo spazio per chi ne definisce i parametri.» È infatti solo con il coinvolgimento delle persone nei dibattiti sui problemi etici, logistici e geo-politici dei vaccini considerati nel loro processo – dalla sperimentazione, allo sviluppo, alle consegne e alle decisioni sulle priorità di somministrazione – che  si può riuscire a sviluppare una campagna vaccinale veramente efficace e un accesso equo al vaccino inteso come bene comune.

Un’altra questione importante riguarda le barriere che quello che lo stesso presidente dell’OMS Ghebreyesus ha definito “apartheid vaccinale” può provocare alla mobilità delle persone a livello globale. L’introduzione del Green Pass europeo e di meccanismi simili, che fanno dipendere dalla certificazione dell’avvenuta somministrazione del vaccino la possibilità di accedere a tutta una serie di luoghi e di servizi o di viaggiare senza obbligo di quarantena, esclude dalla mobilità quella larghissima fascia di popolazione che in Africa e in molti paesi a medio o basso reddito non ha la possibilità di accesso al vaccino nel breve e medio termine.

Inoltre, come è stato segnalato, i vaccini donati con il programma Covax da istituzioni internazionali e dai paesi europei non vengono poi, paradossalmente, considerati validi per la richiesta del Green pass in quegli stessi paesi che li hanno donati. Il caso più eclatante è quello del vaccino Covishield, di formulazione AstraZeneca ma prodotto in India, fornito in grandi quantità a molti paesi africani compresa la Sierra Leone, ma che in diversi paesi europei non garantisce l’emissione del Green pass. Se molte segnalazioni di questo cortocircuito normativo hanno portato al riconoscimento di questo specifico vaccino ai fini del pass da parte di una serie di paesi europei, in altri, tra di essi l’Italia, questo non è ancora avvenuto.

In questa zona grigia di vaccinati che non hanno accesso al pass, si trovano diversi cittadini europei residenti all’estero, così come studenti non europei che svolgono il loro corso di studi in Europa e, pur vaccinati, si vedono negati visti e ingressi nei paesi in cui dovrebbero tornare a studiare. Quello che in questi casi può essere percepito come un “vuoto normativo”, risulta però essere un meccanismo di discriminazione ben più ampio se si considera che del novero di vaccini autorizzati all’uso di emergenza dall’OMS a livello globale,  solo i quattro autorizzati anche dall’EMA (European Medicines Agency) danno accesso al Green Pass europeo. Le forniture di vaccini del programma Covax (per l’Africa ma non solo) includono infatti ad esempio un grande numero di dosi di vaccini cinesi, che sono ben lungi dall’essere presi in considerazione per il Green Pass. E se questo dispositivo si dovesse imporre nel lungo termine come lasciapassare per l’accesso ai servizi, ai luoghi lavorativi, ai trasporti nei paesi europei nei prossimi anni, in quel caso si profilano ulteriori barriere per i migranti di molti paesi, che verranno esclusi dall’accesso ai servizi di base e dalla libertà di movimento in Europa perché non avranno ancora avuto accesso a nessun vaccino o perché avranno ricevuto vaccini considerati di serie B.

Questo articolo, aggiornato al 9 agosto 2021, è stato pubblicato su Africa Rivista in due parti:

I. Gli africani beffati dal “green pass”, il 12 agosto 2021

II. Le difficoltà dei vaccini in Sierra Leone, il 15 agosto 2021