Gli architetti ribelli in azione. Il caso del Bairro da Torre

[Pubblichiamo il presente articolo di Rosa Arma dal titolo “Gli architetti ribelli in azione. Il caso del Bairro da Torre” uscito  nel numero 5/2021 della nostra rivista

Rosa Arma (ITA_9/12/2021)*

Abstract: Il testo qui presentato evidenzia l’approccio dell’architetto alla riqualificazione della città autoprodotta. Caso di studio è l’intervento del Grupo de Estudos Socio-Territoriais, Urbanos e de Ação Local nel Bairro da Torre, quartiere autoprodotto dell’Área Metropolitana de Lisboa. Il Diritto alla Città (LEFEBVRE 1968) e la figura dell’«architetto ribelle in azione» (HARVEY 2004) sono i concetti fondanti di una lettura critica delle azioni presentate.

Parole chiave: città autoprodotta, Diritto alla Città, partecipazione, architetto ribelle.

Abstract: The text reflects the architect’s approach to the upgrading of the self-produced marginal city. The intervention of the Grupo de Estudos Socio-Territoriais, Urbanos e de Ação Local in Bairro da Torre, a self-produced neighborhood in the Metropolitan Area of Lisbon, is the author’s case study. The Right to the City (LEFEBVRE 1968) and the figure of the «rebel architect in action» (HARVEY 2004) are the two pillars of the critical interpretation of the actions presented here.

Key Words: marginal self-produced city, Right to the City, participation, rebel architect.

 

Introduzione

In linea con Lefebvre (1974), che legge lo spazio come prodotto del sociale, le alterazioni nello scenario sociopolitico e territoriale determinano un cambiamento paradigmatico a livello urbanistico, ossia, delle teorie invocate per pensare la situazione socio-spaziale e intervenire in essa. Le città contemporanee affrontano sfide che non trovano soluzione negli attuali paradigmi di intervento pubblico o privato, generalmente dominati dalla logica del capitale, i cui benefici ricadono sui gruppi con maggiori risorse economiche (HARVEY 1980). Per Wallerstein (2011), si assiste a una crisi del sistema capitalista, prodotto del confronto di due forze in campo: autoritarismo e disuguaglianza da un lato, e dall’altro, nuove forme di resistenza che reclamano più democrazia e uguaglianza. Con la crescita della popolazione mondiale, l’afflusso di persone verso le città e la mancanza, l’insufficienza o l’inadeguatezza di programmi rivolti ai gruppi con meno risorse, crescono anche i margini urbani autoprodotti e le occupazioni irregolari, così come il degrado ambientale, la crisi economica, l’aumento delle disuguaglianze socio-spaziali e i fenomeni di esclusione urbana. Allo stesso tempo, in varie parti del mondo sorgono esperienze di un’urbanistica alternativa al sistema dominante, di tipo collaborativo (HEALEY 2005) e caratterizzata da piccoli progetti di intervento locale che coinvolgono gli abitanti nella trasformazione del proprio spazio, favorendone l’emancipazione. Tali progetti valorizzano il preesistente (costruito e ambientale, ma anche culturale e sociale), con l’obiettivo di rafforzare le identità e solidarietà locali, la coesione sociale e territoriale. Nel quadro di questo nuovo paradigma a cui si riferisce Raposo (2016), si delineano strategie e strumenti di intervento che promuovono la partecipazione delle comunità. Tuttavia, mentre emergono voci ed esperienze di carattere più emancipatorio e si invoca sempre più un approccio partecipativo, la nozione stessa di partecipazione si è volgarizzata e, come riferiscono Raposo, Crespo e Lages (2017), è oggi rivendicata da diverse linee di pensiero, determinando pratiche di diversa natura, alcune più top-down e conservatrici, altre più bottom-up e trasformative. 

Come base per la discussione, è qui presentato il lavoro sul campo svolto dal Grupo de Estudos Socio-Territoriais, Urbanos e de Ação Local (GESTUAL)[1] della Faculdade de Arquitetura da Universidade de Lisboa (FA-UL) nel Bairro da Torre, quartiere autoprodotto[2] dell’Área Metropolitana de Lisboa (AML). Questo testo è da considerarsi prodromico a una riflessione più profonda, elaborata nell’ambito degli studi di Dottorato[3] su processi e progetti architettonici che contribuiscono alla qualità spaziale dei margini urbani e su meccanismi di inclusione, partecipazione ed emancipazione che portano ad una città marginale più democratica, emancipata, inclusiva, giusta, qualificata e sostenibile: una democra–city (così definita sulla base del quadro teorico e metodologico di riferimento). La ricerca è incentrata sull’impatto socio-spaziale dei processi partecipativi in quartieri autoprodotti, con l’obiettivo di contribuire a una conoscenza critica di visioni stereotipate e di generare nuovi approcci utili alla loro riqualificazione. Le sfide della città contemporanea evidenziano l’urgenza di includere e valorizzare i saperi, le energie locali e le capacità creative di bambini, individui, gruppi e comunità che vivono in contesti vulnerabili per contribuire alla trasformazione della società e della città. L’ipotesi di partenza è che i processi partecipativi orizzontali sono una conditio per riqualificare le periferie autoprodotte, rendendole laboratori locali di democrazia e rispecchiando un’idea di Diritto alla Città che sostiene la sua trasformazione mentre trasformiamo noi stessi (HARVEY 2008).

La nozione di Diritto alla Città introdotta da Lefebvre (1968), nella sua accezione emancipatoria di «Diritto al lavoro», come sottolinea Raposo (2016), riferendosi a Lefebvre (1968), e la figura dell’«architetto ribelle in azione» delineata da Harvey (2004) sono i concetti fondanti dell’interpretazione del caso di studio. 

Il testo è organizzato in cinque parti: (1) presentazione del caso di studio: il Bairro da Torre e l’intervento del GESTUAL; (2) analisi degli interventi realizzati, alla luce del Diritto alla Città (Lefebvre, 1968); (3) riflessione sugli «architetti ribelli in azione» (HARVEY 2004) e (4) sul «quotidiano insorgente» della città autoprodotta; (5) una nota conclusiva.

 

  1. Il caso di studio: il Bairro da Torre e l’intervento del GESTUAL 

Il Bairro da Torre era un quartiere autoprodotto dell’AML nato, oltre cinquant’anni fa, dall’occupazione di un’area di proprietà dello Stato, confinante con l’Aeroporto di Lisbona e soggetta a servitù dell’Instituto Nacional de Aviação Civil e di NAV Portugal, e di un’altra zona, attigua ma privata. Il quartiere ospitava una comunità di famiglie portoghesi, prevalentemente di etnia rom, e di origine africana (immigrate da São Tomé e Príncipe) che, nel 2012, si sono riunite nell’associazione Torre Amiga presieduta da una donna, Ricardina Cuthbert di São Tomè affiancata da Laura Ramires e, successivamente, da Maria Cardoso, di etnia rom. Nel 2000 vivevano nel quartiere centinaia di famiglie, molte delle quali ricollocate nel 2007 e nel 2011 nell’ambito del Programa Especial de Realojamento (PER). Le abitazioni dei soggetti non coinvolti nel PER sono state demolite, eppure diversi nuclei familiari hanno deciso di restare a vivere nel quartiere, autoproducendo nuovamente le proprie case. Dopo alcuni eventi avversi, come il taglio dell’energia elettrica nel 2016 e un incendio nel 2018, altre famiglie sono state ricollocate – alcune in altri comuni dell’AML -e private, così, delle reti di solidarietà e cooperazione da cui dipendevano. La situazione abitativa delle famiglie ricollocate è migliorata, ma la loro situazione socioeconomica, in molti casi, si è aggravata. Seppur stigmatizzato e caratterizzato da disuguaglianza ed emarginazione socio-spaziale, gravi lacune in termini di infrastruttura, spazio pubblico e abitazioni, il Bairro da Torre e i suoi abitanti hanno rivelato esperienze preziose di appropriazione e autoproduzione dello spazio, strategie di sopravvivenza nel quotidiano, pratiche di solidarietà e cooperazione tra famiglie di origine africana e famiglie di etnia rom, e manifestazioni culturali uniche[4]. Il Bairro da Torre è stato, pertanto, oggetto di azioni che, incarnandone l’energia, hanno promosso la sua riqualificazione o la ricollocazione collettiva dei suoi residenti ed ex-residenti nelle vicinanze, contrastando così le posizioni favorevoli al suo sradicamento e alla dispersione della comunità.

Dal 2014, grazie al dialogo con gli attivisti dell’associazione Habita[5], con l’associazione dei residenti Torre Amiga e con le istituzioni locali, il GESTUAL ha collaborato alla ricerca di soluzioni per il Bairro da Torre, nell’ambito del progetto di ricerca-azione Acão-Investigação no Bairro da Torre, Loures. Extensão académica e experimentação metodológica e de design. Sono stati condotti, pertanto, un’indagine socio-abitativa delle famiglie per definire con gli interessati le questioni prioritarie da risolvere, uno studio dei vincoli urbanistici, della situazione catastale e un rilievo architettonico collaborativo per ogni abitazione. Sono state implementate con i residenti piccole migliorie utilizzando materiali e processi low tech e a basso costo per migliorarne le condizioni di vita, coinvolgendo anche studenti della FA-UL in laboratori didattici. A titolo esemplificativo, sono stati piantati dei banani che fungono da biofiltri per il trattamento delle acque reflue domestiche; è stata condotta una pulizia collettiva del quartiere col contributo del Comune di Loures ed è stato creato un campo da gioco. L’impermeabilizzazione dei tetti delle abitazioni è stata ottenuta sfruttando teloni di copertura per camion; la struttura e il comfort interno delle abitazioni sono stati migliorati attraverso piccoli accorgimenti; sono stati progettati bagni pubblici ed è stato sviluppato un progetto per l’installazione, nel quartiere, di una rete di distribuzione di energia elettrica legale. Il GESTUAL ha, inoltre, accompagnato l’associazione locale nella sua partecipazione alla Caravana pelo Direito à Habitação dell’Assembleia de Moradores, esperienza di auto-organizzazione che univa la Torre Amiga ad altri collettivi di quartieri periferici e autoprodotti dell’AML, allo scopo di rivendicare il diritto ad un abitare più dignitoso. Nell’ambito del seminario Direito à Cidade (1968-2018), organizzato dal GESTUAL nel 2018, si è tenuta alla FA-UL la mostra Vozes do Direito à Cidade, con l’obiettivo di presentare uno sguardo plurale su questo concetto di Lefebvre (1968). A tal fine, è stato sviluppato un processo di photovoice (fotografia partecipativa) con i bambini di etnia rom e di origine africana del Bairro da Torre[6]. Attraverso le foto che ritraggono la propria casa, il quartiere, la comunità e la città, e le storie che le accompagnano, i giovani partecipanti sono stati capaci di identificare punti di forza, problemi e desideri individuali e di comunità, e trasmetterli anche agli osservatori esterni, impegnandosi in una riflessione sul concetto di Diritto alla Città. Recentemente è stata lanciata una nuova azione di fotografia partecipativa. Gli stessi bambini che parteciparono nel 2018 e che ancora vivevano nel Bairro da Torre sono stati chiamati a raccontare com’è cambiato il loro quartiere dopo l’intenso processo di ricollocamento degli ultimi anni; i bambini già ricollocati hanno raccontato l’esperienza vissuta in un altro spazio e una nuova quotidianità, fuori dal bairro.

È stata realizzata, inoltre, una vasta documentazione audio/video sul passato e il presente del quartiere, nonché sugli interventi e i desiderata degli abitanti. Citiamo, tra gli altri[7], il recente film-documentario Artigo 65 di cui il GESTUAL ha accompagnato la realizzazione. Gli artisti Marian van der Zwaan e Kevin Raposo, insieme al GESTUAL, sono stati coinvolti da Ricardina Cuthbert, presidente dell’associazione Torre Amiga, per mostrare, attraverso il docufilm, i legami che uniscono i residenti di etnia rom e di origine africana in un’unica comunità e il sogno di costruire un quartiere nuovo in cui abitare insieme. Gli studi sulle condizioni di vita dei residenti e i racconti delle famiglie ricollocate in quartieri diversi e, in molti casi, lontani tra loro, hanno portato il GESTUAL a sostenere questo sogno. Hugo Jesus, laureato in Architettura e membro del GESTUAL, ha voluto dargli forma elaborando, nell’ambito della sua tesi di Laurea Magistrale, una proposta per un nuovo quartiere in una striscia di terra, libera e pubblica, che confina con quello attuale. Con il suo progetto ha voluto motivare le istituzioni ad intervenire in modo più innovativo e partecipato in contesti di autoproduzione.

Recentemente, il GESTUAL ha accompagnato la candidatura dell’associazione Torre Amiga al nuovo programma pubblico Bairros Saudáveis[8] che intende sostenere interventi locali e partecipati di promozione della salute, del benessere e della qualità di vita di comunità vulnerabili, attraverso progetti dal basso. Nel contesto della pandemia di Covid-19, le condizioni di esclusione socio-spaziale dei territori più vulnerabili sono peggiorate, ma allo stesso tempo si è verificata una significativa mobilitazione delle reti locali di solidarietà alla ricerca di soluzioni più immediate. La pandemia ha, infatti, evidenziato, a livello globale, la nostra vulnerabilità e, allo stesso tempo, la nostra interdipendenza. Il progetto Dar as mãos – Para um futuro saudável, il cui finanziamento è stato approvato nell’ambito del programma Bairros Saudáveis, mira a sostenere la comunità del Bairro da Torre (ex residenti, vicini e famiglie migranti da São Tomé cui Ricardina Cuthbert dà ospitalità,), migliorandone le condizioni di vita, aggravatesi nel contesto pandemico. Il progetto intende, pertanto, potenziare le attività che l’associazione Torre Amiga già porta avanti attraverso le proprie risorse, donazioni e collaborazioni e favorire soluzioni più immediate e consapevoli di acceso della comunità alla salute, al benessere, ad una alimentazione migliore, alla formazione, a più cultura e ad un abitare più dignitoso. Le attività proposte si basano su conoscenze e pratiche locali, reti di solidarietà, collaborazioni formali e informali, puntando a migliorare la coesione della comunità, la sua autostima e l’autonomia socioeconomica.

 

  1. Analisi critica degli interventi partecipati 

Questo breve resoconto sull’intervento del GESTUAL nel Bairro da Torre consente di riflettere sulla capacità che le azioni presentate possiedono di ispirare meccanismi di emancipazione dei partecipanti e sul contributo degli interventi partecipativi locali alla trasformazione delle società e delle città, anche quando incentrati sui bisogni di piccoli gruppi.

Intendiamo sottolineare, in primo luogo, che, nello spazio costruito, sono state realizzate solo piccole azioni puntuali, con risultati appena palliativi a livello della riqualificazione del quartiere[9]. Le azioni implementate, allo stesso tempo, sono state realizzate sempre in stretta collaborazione con gli attori locali, coinvolgendoli costantemente nei processi decisionali di trasformazione del proprio spazio. Sono state messe in atto, pertanto, pratiche più votate all’inclusione, alla partecipazione e all’emancipazione, che mettono in discussione i paradigmi dominanti di intervento, costituendosi come esperienze di costruzione del Diritto alla Città (LEFEBVRE 1968), inteso nel suo significato emancipatorio di diritto di tutti alla partecipazione attiva alla trasformazione della società e della città (RAPOSO 2016). Il GESTUAL si è costituito, nell’ambito dei processi descritti, come attore esterno catalizzatore di visioni e di risorse locali, accompagnando e appoggiando tecnicamente la realizzazione dei progetti della comunità, ricercando e facilitando, soprattutto in una fase iniziale, le possibilità di una dinamica più collaborativa tra i residenti e il potere locale. I processi partecipati nel quadro della ricerca-azione in contesti vulnerabili intendono «dare voce» ai loro abitanti e rendere visibili i fattori di esclusione socio-spaziale che li caratterizzano, così come la loro energia. Così facendo, si genera una maggiore consapevolezza di questi territori che, come il Bairro da Torre e altri quartieri autoprodotti dell’AML (così come di tutto il Portogallo e del mondo intero), sono, invece, sottoposti a sistematiche «politiche di cancellazione». Allo stesso tempo, pratiche di partecipazione più emancipatoria intendono agire per l’empowerment (FRIEDMANN 1992) di individui, gruppi e comunità in condizioni di vulnerabilità. L’empowerment può riferirsi sia all’acquisizione di specifiche abilità pratiche (come, per esempio, l’uso di tecniche fotografiche e l’alfabetizzazione visiva dei bambini nel caso del photovoice o la produzione di risposte tecniche più efficienti per l’autoproduzione), sia allo sviluppo della capacità di articolare sentimenti, pensieri e azioni in modo costruttivo (MOREIRA 2000), per l’emancipazione individuale, così come per il rafforzamento e l’autorganizzazione della comunità. Gli interventi partecipativi acquistano ancora più significato e opportunità quando coinvolgono individui, gruppi e comunità emarginate che di solito sono considerati ricettori e quasi mai creatori. In linea con il pedagogo Paulo Freire (2007) e nell’ambito della riflessione e delle azioni presentate, gli abitanti del Bairro da Torre sono stati ritenuti experts e agenti attivi, e non oggetti di studio e di intervento. La ricerca-azione è stata instaurata come pratica relazionale poiché, come afferma Freire (2007: 93), il dialogo si riferisce all’«incontro degli uomini nel compito comune di saper agire». Gli interventi nel Bairro da Torre fanno parte, pertanto, di un processo riflessivo che mira alla trasformazione degli attori coinvolti nei processi di trasformazione dello spazio.

Tuttavia, le azioni descritte e, in generale, i progetti condotti con un approccio interattivo, sia di iniziativa pubblica che promossi da associazioni locali, gruppi accademici o da privati insieme ad agenti locali che appartengo alla società civile o alle autorità locali, non sono esenti da conflitti. Anche nel nostro caso, ci siamo trovati di fronte ad «un’arena sociale» (SARDAN 1995), in cui si confrontano attori con razionalità e interessi differenti. Il risultato dei progetti partecipativi dipende dal rapporto di forze tra le parti in causa (RAPOSO 2017), dal divario tra le conoscenze politico-tecniche e le conoscenze locali, dal tempo di realizzazione, dal carattere puntuale, dalla dimensione settoriale e dal ridotto investimento che possono rappresentare un ostacolo (RAPOSO-CRESPO-LAGE 2017) e generare conflitti. Allo stesso tempo, come afferma Guerra (2010), il conflitto fa parte dei processi partecipativi e, richiedendo resilienza da parte di tutti i partecipanti, contribuisce comunque all’emancipazione dei partecipanti.

 

  1. L’architetto ribelle in azione 

La collaborazione con gli abitanti e la valorizzazione del loro sapere in quanto autoproduttori del proprio spazio ha il potere di trasformare la percezione e il sapere teorico e tecnico di architetti e urbanisti e di (ri)pensare processi e progetti nei territori autoprodotti, favorendo pratiche che rispondano della ricchezza e della complessità locale e della necessità di uno sguardo più sensibile, senza cedere alla tentazione del voyeurismo o di uno sguardo romantico. La visione vol d’oiseaux tipica dei cosiddetti specialisti esclusivi dello spazio (architetti, urbanisti, geografi, ecc.) e un’architettura «d’autore» o «dell’oggetto» (che sostituisce il progetto come processo) non presentano le condizioni necessarie per intervenire nei territori emarginati dal sistema dominante. Quest’ultimo cerca di limitare la complessità contemporanea al rispetto di norme che legittimino processi volti a soddisfare gli interessi di attori egemonici a discapito dei gruppi con meno risorse (le organizzazioni della società civile, le associazioni locali e gli individui minacciati dalla logica di mercato e, sempre più, dai processi di gentrificazione, etc.). La pratica di un’architettura «altra» contribuisce, al contrario, a creare spazi di incontro e di scambio con l’altro; favorisce cioè, in opposizione allo spazio diseguale ed escludente di matrice capitalista, una nuova spazialità orizzontale come terreno per favorire il Diritto alla Città di tutti gli oppressi (BIAGI 2019). Evoca un approccio caratterizzato da piccoli progetti partecipativi di intervento locale che includono gli abitanti come autori della trasformazione dei propri luoghi e che vanno oltre il disegno di edifici, utilizzando tattiche estranee agli strumenti consolidati di gestione del territorio: sono dispositivi di riattivazione della città e della cittadinanza che mirano ad osservare e trasformare collettivamente e creativamente la città, cercando risposte alle nuove domande che le città contemporanee pongono. Nel suo Spaces of Hope, nell’analizzare le trasformazioni operate dal capitalismo, Harvey (2004) sostiene un nuovo pensiero utopico, chiamato «utopismo dialettico», che «implica una volontà, anche se solo nel mondo del pensiero, di trascendere o invertire le forme imposte dall’accumulazione incontrollata del capitale, dal privilegio di classe e dalle vaste ineguaglianze del potere politico-economico» (HARVEY 2004: 262), ed evidenzia la figura dell’«architetto ribelle in azione». Harvey presenta l’uso dell’immaginazione come centrale nella sua teoria. L’immaginazione è incoraggiata nel senso che può costruire le possibilità dell’autotrasformazione dell’uomo. Harvey indica i limiti della capacità di immaginare nella vasta gamma di regole sullo spazio e nella negoziazione «che è sempre alla base di tutte le pratiche politiche e architettoniche» e che «coinvolge le persone che cercano di trasformare gli altri e il mondo, oltre che se stessi» (HARVEY 2004: 309)[10]. Se, per Harvey, spetta all’uomo sia costruire sia violare l’insieme di regole e norme, l’emancipazione dell’uomo e la costruzione di qualcosa di nuovo derivano proprio da questa ambivalenza.  Gli «architetti ribelli in azione» sono tutti coloro che, attraverso l’immaginazione, provocano la critica e la rivelazione delle regole e delle contraddizioni del modo di produzione capitalista e, allo stesso tempo, le possibilità del loro superamento. Le stesse contingenze e ambiguità della modernità si rivelano, in questo modo, come il motore dialettico dell’apertura di nuove possibilità. La chiamata ad agire come architetti ribelli impegnati nell’utopismo dialettico è così dichiarata:

Immaginiamo di essere architetti, tutti dotati di una vasta gamma di potenzialità e capacità, inseriti in un mondo fisico e sociale pieno di restrizioni e limiti manifesti. Immaginiamo inoltre che ci stiamo sforzando di trasformare il mondo. Come abili architetti inclini alla ribellione, dobbiamo pensare strategicamente e tatticamente a cosa cambiare e dove cambiarlo, a come cambiare questo qualcosa e con quali strumenti. Ma dobbiamo anche continuare in qualche modo a vivere in questo mondo. Qui abbiamo il dilemma fondamentale che affronta chiunque sia interessato al cambiamento progressista. (HARVEY 2004: 305)[11]

Nonostante i conflitti e i limiti che lo caratterizzano, l’intervento del GESTUAL nel Bairro da Torre costituisce un esercizio di forme più orizzontali di articolazione tra il mondo accademico, i professionisti dell’architettura e dell’urbanistica, la società civile e i poteri politici, capace di analizzare e smantellare i «modi di fare» e le «condizioni di produzione» attuali dell’architettura. Gli «architetti ribelli in azione» nel Bairro da Torre hanno sfidato i paradigmi globali d’intervento e hanno collaborato all’apertura di spazi di resistenza, dove il Diritto alla Città, inteso come il diritto a trasformare noi stessi trasformando la città (HARVEY 2008), viene costruito collettivamente. I progetti considerati ribelli o insorgenti si costituiscono come pratiche di un’architettura che rifiuta le logiche tecnocratiche e gli approcci top-down, caratterizzata bensì da piccoli progetti su base locale pensati e realizzati in stretta interazione con gli abitanti autori della trasformazione del proprio spazio, dalla promozione di processi aperti alle particolarità di ciascun tempo e territorio, presupponendo un compromesso dell’architetto con la propria vita, col suo modo pensare e di vivere nel quotidiano. Intervenendo nel Bairro da Torre e in opposizione all’omogeneizzazione operata dagli sguardi attuali sui territori marginali, è stato promosso questo approccio investigativo, immaginativo e sperimentale, un approccio di ascolto «deambulatorio» dei luoghi, alternativo a un sistema che cerca di sorvegliare e limitare la complessità contemporanea all’adempimento di norme e che incoraggia lo scambio di ruoli per stabilire un nuovo dialogo. L’architettura diventa, in questo modo, una «scienza nomade» (DELEUZE-GUATTARI 1997), imprevista e aperta a deformazioni, metamorfosi, a volte aberrazioni, intuizioni e casualità. La città si costituisce come testo aperto e i suoi abitanti si trasformano in scrittori di geografie più umane nelle sue trame dimenticate. È questa città fatta collettivamente che, come architetti, dovremmo curare e coltivare per stimolare l’immaginazione di un altro futuro.

 

  1. Il quotidiano insorgente nella città autoprodotta 

La ricerca-azione svolta dal GESTUAL nel Bairro da Torre favorisce una lettura della città marginale autoprodotta come luogo che accoglie qualità materiali e immateriali, evidenziando la cooperazione tra famiglie e vicini di origine africana e di etnia rom come potente strumento di costruzione politica. La ricerca indica, inoltre, il protagonismo femminile del ruolo di prim’ordine svolto dalle leader locali nell’organizzazione delle rivendicazioni comunitarie e la creatività degli abitanti nell’affrontare le lotte quotidiane come possibili percorsi di emancipazione dei territori autoprodotti e di trasformazione dell’intera società e della città. In questo senso, le periferie autoprodotte sono intese come territori insorgenti, i cui abitanti diventano potenziali catalizzatori del cambiamento in virtù delle pratiche quotidiane che rispondono, da un lato, alla mancanza di risorse, dall’altro a un’autonomia decisionale (MORADO NASCIMENTO 2011) e sono ispirate da logiche «altre» di produzione socio-spaziale. Si tratta delle tattiche sovversive della vita quotidiana di cui parla De Certeau (1994), della creazione di reti di sostegno e di solidarietà, dell’affermazione dei valori dell’affetto, della cura e della condivisione dei saperi, dell’autogestione delle risorse, della realizzazione di microeconomie alternative e della stessa autoproduzione dello spazio (insorgente perché avviene senza i tecnici). I territori autoprodotti si configurano, in questo modo, come «spazi di invenzione» creati dall’incontro di persone e dalla costruzione di relazioni (LANG 2016), dunque spazi di resistenza, che agiscono al di fuori dei modi di produzione capitalistici che fanno dello spazio il nemico dell’umano (BIAGI 2019). Diventano, così, spazi di opportunità per l’immaginazione di una «vita quotidiana rinnovata» (LEFEBVRE 1996: 158) e, infine, spazi di sovversione: il loro quotidiano è caratterizzato, infatti, da «gesti barriera» (LATOUR 2020) che, contrariamente a un’idea di rivoluzione violenta, fanno appello al potenziale sovversivo inerente alla vita quotidiana che contiene, in sé, i mezzi per sovvertire l’ordine dominante. Come afferma il filosofo Slavoj Žižek (2004) «le nuove forme di coscienza sociale che emergono dai collettivi delle baraccopoli saranno i germi del futuro e la migliore speranza per un mondo propriamente libero».

 

Nota conclusiva

Le azioni descritte non hanno realizzato, purtroppo, il sogno della comunità di costruire un nuovo quartiere in prossimità di quello esistente, né si può affermare che abbiano giocato un ruolo nella negoziazione con le autorità competenti di una soluzione di ricollocamento più giusta e in linea con desideri delle famiglie. Il Comune di Loures, infatti, ha portato a termine il suo processo di sradicamento del Bairro da Torre. Nonostante l’«insuccesso» registrato, gli interventi realizzati continuano ad alimentare la riflessione sulla dimensione del processo e sul gap che può formarsi tra i processi stessi e i loro risultati tangibili e misurabili nello spazio, nonché sulla capacità di piccole azioni locali partecipate di contribuire alla trasformazione della società e della città. La costruzione di un nuovo paradigma urbano fa parte della lotta per una nuova società (ARANTES-VAINER-MARICATO 2000) e, come afferma Raposo (1999), in linea con Lefebvre (1974), lo spazio urbanizzato risulta dall’interazione tra condizionamenti, determinismi o vincoli strutturali (Stato – poteri, istituzioni, ideologie, strumenti di pianificazione -, mercato, guerra) e le strategie e capacità di azione degli abitanti. In questo senso, una trasformazione dei paradigmi di intervento che cambi ideologie e pratiche in modo dialettico, può avvenire se si agisce anche a livello di politiche governative, rafforzando i progetti su base locale (RAPOSO-RIBEIRO 2007). È auspicabile un cambiamento più radicale dell’attuale scenario politico, tecnico ed economico globale, affinché la città autoprodotta sia intesa come città a tutti gli effetti (e non come una malattia da nascondere o estirpare), di cui prendersi cura per il suo potenziale rivoluzionario.

 

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WALLERSTEIN Immanuel. «Structural Crisis in the World-System: Where Do We Go from Here?» Monthly Review, n. 62, 2011. Testo disponibile al sito: https://monthlyreview.org/2011/03/01/structural-crisis-in-the-world-system/ Consultato il 12/05/2020.

ŽIŽEK, Slavoj. «Knee-Deep». London Review of Books, vol. 26, n. 17, 2 September 2004. Testo disponibile al sito: https://www.lrb.co.uk/the-paper/v26/n17/slavoj-zizek/knee-deep . Consultato il 27.04.2021.

 

NOTE:

* CIAUD, Centro de Investigação em Arquitetura, Urbanismo e Design, Faculdade de Arquitetura, Universidade de Lisboa, Rua Sá Nogueira, Polo Universitário do Alto da Ajuda, 1349-063, Lisboa, Portugal.

[1] Gruppo di studio integrato nel Centro de Investigação em Arquitetura, Urbanismo e Design (CIAUD) da FA–UL, presso cui svolgo attività di ricerca nell’ambito degli Studi di Dottorato.

[2] La nozione di «autoproduzione» è emersa dal dibattito tra alcuni ricercatori del GESTUAL e si riferisce alla produzione dello spazio lefebvriana (1974), e non solo all’autocostruzione. Si vuole con questa denominazione incorporare la dimensione del processo e richiamare l’attenzione sulle energie spese dai «produttori» degli spazi, invece di sottolineare, come fanno i concetti dominanti di «informale, illegale, irregolare, etc.», ciò che questi luoghi non hanno in opposizione dialettica alla città consolidata (RAPOSO 2012 e RAPOSO et al. 2012).

[3] Titolo provvisorio: Democra – city. Processos Participativos e Requalificação dos Bairros Autoproduzidos da Área Metropolitana de Lisboa. Relatrici: Isabel Raposo e Juliana Demartini. Tesi finanziata dalla Fundação para a Ciência e a Tecnologia (FCT), nell’ambito della borsa di dottorato SFRH/BD/129102/2017 di Rosa Arma.

[4] Riportiamo, a titolo di esempio, la festa annuale di Nossa Senhora de Madre Deus importata in Portogallo per volontà di Ricardina Cuthbert e di sua madre nel 2014; la festa attirava centinaia di persone nel bairro e prevedeva una messa e una processione dalla chiesa più vicina fino al quartiere, un pranzo comunitario e vari spettacoli di artisti di São Tomè.

[5] Associazione portoghese che lotta per il diritto di tutti alla casa e alla città. https://habita.info/

[6] Contemporaneamente è stato realizzato un photovoice in un altro quartiere autoprodotto dell’AML, terreno di ricerca e azione del GESTUAL, l’Alto da Cova da Moura che possiede un differente livello di consolidamento dello spazio e della realtà associativa.

[7] Si segnalano: Aqui tem gente (2013) di Leonor Areal, A Torre e o Tempo (2015) di Guto Felipe e Another Lisbon Story (2017) di Claudio Carbone.

[8] Creato dalla delibera 52-A/2020 del Consiglio dei Ministri portoghese.

[9] Consideriamo determinante, in questo senso, il permesso accordato dal Comune di Loures agli abitanti di migliorare le proprie case esclusivamente all’interno di ognuna di essa e il divieto di realizzare nuove opere nel quartiere che sorge su terreni occupati, al fine di portare a termine l’operazione del suo «sradicamento».

[10] Traduzione dell’autrice.

[11] Traduzione dell’autrice.

(photocredits GESTUAL)