Appunti di un italiano in Catalogna

ROSARIO SCANDURRA

[09.10.17_ITA]

Scorrendo di fretta la stampa italiana, ho la sensazione che vi sia un totale fraintendimento rispetto quello che sta accadendo in questi giorni in Catalogna. In primo luogo perché si tende ad interpretare la situazione indossando occhiali tricolori e/o perché ci si lascia andare a semplificazioni del tutto irrispettose della storia. Ad esempio, si tende ad assimilare il movimento che ha portato al referendum alle spinte autonomistiche e secessionistiche della Lega Nord. Alcuni hanno assimilato Puigdemont, attuale presidente della Generalitat autonoma, con il primo Bossi.

Ci sono tuttavia diverse differenze essenziali: provo ad elencare brevemente quelle che più mi colpiscono.

La conoscenza limitata della storia della Catalogna rende difficile capire cosa vi stia succedendo in questi giorni. La sinistra, e non la destra, è stata la forza che ha sempre avanzato, anche ai tempi della dittatura franchista, la difesa del carattere nazionale della Catalogna. La riforma dello Statuto di Autonomia di Catalogna nel 2006, che riconosce la Catalogna come nazione, è stata avviata e sviluppata infatti da sinistra, non da destra. Attualmente, la coalizione di governo di cui Puigdemont è a capo è formata da un partito “democristiano” conservatore, e da un’altra forza, Esquerra Republicana, un partito di sinistra nazionalista con quasi 90 anni di storia.

Il referendum promosso il primo di ottobre altro non è stato che il culmine di tutto un processo storico attraverso cui sono state richieste nel corso del tempo da un lato il diritto di autodeterminazione e dall’altro maggiori devoluzioni di competenze a livello di regioni autonome (il corrispettivo spagnolo delle regioni italiane).

Tali richieste, bisogna ricordarlo, sono state una costante della politica della sinistra catalana e di altre nazioni storiche della Spagna. Non a caso, i documenti fondatori del Partito socialista spagnolo (PSOE) nella clandestinità ne sono testimoni. In seguito il PSOE abbandonò questa rivendicazione durante la transizione post-franchista e a causa della pressione del Monarca e dell’Esercito. Ma ciò non significa che tali dinamiche non abbiano avuto un peso storicamente, per quanto Il PSOE non abbia mai spiegato il motivo della rinuncia a questa parte di programma.

Ora, il diritto di autodeterminazione non equivale alla secessione, ma semplicemente presume il riconoscimento volontario e la contrattazione bilaterale di un progetto comune che in nessun modo può essere forzato o definito dall’uso della forza. La sinistra catalana per tradizione non è stata secessionista, né lo erano né il governo di Macià e di Companys durante la Repubblica degli anni ’30, così com’è vero che in realtà il secessionismo non è mai stato maggioritario.

Quello che è accaduto negli ultimi anni, e da qui gli eventi a cui stiamo assistendo, è che i sentimenti e il movimento indipendentista sono via via cresciuti proprio a causa dell’ostilità del Governo centrale spagnolo verso qualsiasi forma di dialogo, e in particolare a causa del muro contro muro sollevato dal governo del Partido Popular.

La crescita delle spinte indipendentiste è dovuta a un problema del governo spagnolo e delle élites che lo sostengono, che non sono state capaci di riformarsi e di rilegittimarsi neanche a seguito della più lunga crisi economica dall’inizio della storia democratica del Paese.

I continui attacchi all’autonomia catalana iniziano con la bocciatura dello Statuto Autonomista Catalano, approvato dal governo socialista di Zapatero nel 2006 e votato dai catalani mediante referendum: bocciatura provocata da un ricorso costituzionale promosso dal Partito Popolare nel 2010.

Inoltre, la riforma educativa promossa del ministro Wert ha implicato un attacco frontale al modello bilingue dell’istruzione pubblica in Catalogna. Ulteriore esempio di questo scontro senza possibilità di mediazione è dato dallo stillicidio di leggi approvate dal governo della regione catalana e bocciate a tamburo battente dal governo spagnolo.

Arriviamo così all’attacco inferto alla popolazione civile durante il referendum del Primo Ottobre, che dimostra l’incapacità, da parte del governo dello Stato, di accettare la possibilità di una Spagna plurinazionale, così come la mancanza di rispetto dei diritti civili e delle minoranze. In una democrazia, l’uso della forza è l’extrema ratio e un responsabile politico deve assumersene tutto il peso.

Se Rajoy avesse ignorato il referendum non facendo nulla, strategicamente forse la sua migliore scelta, la situazione non sarebbe certo degenerata fino a questo punto. Le immagini dell’attacco filofascista che si è vissuto nelle strade della Catalogna sono sotto gli occhi di tutti: com’è dunque possibile che i rappresentanti del governo e persino il re di Spagna possano negarlo? Com’è possibile che in questa vicenda i più moderati siano coloro che si sono interposti alla Guardia Civil coi loro corpi il Primo Ottobre e siano scesi in piazza il 3 Ottobre durante lo sciopero?

Il movimento pro-indipendenza non è un movimento anti-europeo, né un movimento basato sull’odio verso gli immigrati. La maggior parte dei partiti catalani sono europeisti convinti e non lavorano a politiche di emarginazione o di barriere commerciali. Come potrebbe essere questa del resto la politica di una regione che ha del resto una storica vocazione commerciale ed esportatrice? È prova dell’ipocrisia con cui si riveste il discorso pubblico del governo spagnolo il fatto che uno dei principali argomenti usati contro il referendum e i movimenti pro-indipendenza risieda nella minaccia di impedire a una futura Catalogna indipendente l’accesso all’Unione Europea.

Sebbene Italia e Spagna siano due paesi molto simili per vari aspetti che non intendo qui elencare e che superano di gran lunga l’obiettivo di questo articolo, le diversità sono per lo meno altrettante. Basti ricordare che la Carta Costituzionale Italiana è del 1948 ed è frutto di un compromesso storico tra le forze antifasciste uscite dal dopoguerra, mentre la Costitución Española del 1978 è successiva alla morte di vecchiaia di Francisco Franco e a un periodo di transizione di appena tre anni. Tale Costituzione è pertanto il risultato di un compromesso tra forze democratiche e non, una mediazione tra le nuove forze politiche e un apparato dello stato fortemente militarizzato.

Per tutte queste ragioni è utile contestualizzare le informazioni provenienti dalla Catalogna e dalla Spagna in questi giorni e cercare di interpretarle con un pensiero critico rifuggendo da facili parallelismi nostrani.