Inside Airbnb, dentro il capitalismo digitale – intervista a Murray Cox

[La redazione di Thomasproject riprende l’intervista a Murray Cox pubblicata da Il Manifesto del 14 febbraio 2019. Murray Cox è il fondatore del sito “Inside Airbnb”, dove misura l’impatto degli affitti brevi sulla città di tutto il mondo, anche di quelle italiane.]

 

Inside Airbnb, dentro il capitalismo digitale

 

Intervista di Sarah Gainsforth [14/04/2018_ITA]

 

La fabbrica del turismo. Intervista a Murray Cox, fondatore del sito “Inside Airbnb” che misura l’impatto degli affitti brevi sulla città di tutto il mondo, anche di quelle italiane. Come la «sharing economy» rischia di trasformare i centri storici e molti altri quartieri nei parchi giochi del XXI secolo. «L’approccio data-driven ha generato una vera ondata di informazioni. I dati oggi contraddicono la sua favola comunitaria». «Iniziative alternative basate su un modello cooperativo sono possibili a una condizione: bisogna prima regolamentare Airbnb»

 

Il turismo è una risorsa, ma in assenza di visioni e strategie a regolarne la crescita finisce per imporsi su tutte le altre funzioni urbane, trasformando i centri storici in parchi-gioco turistici. I flussi in aumento del turismo di massa stanno modificando, direttamente e indirettamente, il tessuto sociale ed economico di interi quartieri, sostituendo residenti e attività locali, imponendosi come unica industria parallelamente alla scomparsa di attività produttive e artigianali. Cambia la funzione dello spazio urbano, degli edifici, delle case. Il boom di case vacanze in molte città turistiche sottrae alloggi al mercato residenziale, facendo lievitare i valori immobiliari, contribuendo all’espulsione del ceto medio e popolare dai centri urbani. A questo processo ha contribuito negli ultimi anni la piattaforma di intermediazione di affitti brevi turistici Airbnb, nata nel 2008 a San Francisco ed esplosa nel 2013, che si descrive come parte della «sharing economy».

 

«Come viene usato e qual è l’impatto di Airbnb nella tua città?» è la domanda che campeggia nella home page di Inside Airbnb, un progetto creato nel 2014 dal fotogiornalista australiano Murray Cox. Inside Airbnb pubblica, mappandoli, tutti gli annunci di alloggi su Airbnb in molte città del mondo. Cox, che si definisce un «data activist», preleva i dati direttamente dal database della multinazionale americana, che non fornisce dati pubblici completi. Adding data to the debate – fornire dati per il dibattito, è l’obiettivo di Cox. Il sito è diventato il più autorevole punto di riferimento per giornalisti e amministrazioni comunali che vogliono avere un quadro veritiero del numero e dell’impatto degli affitti brevi turistici nelle città.

 

D: Murray Cox, come è nato il progetto di Inside Airbnb?

 

R: A Brooklyn, New York, dove abito, la gentrificazione è un fenomeno evidente. Per anni ho documentato la trasformazione con la fotografia, osservando il ricambio di residenti, l’aumento dei valori immobiliari, il mutamento dell’uso delle case. Nel 2014 ho conosciuto un giornalista che stava lavorando a un’inchiesta sugli annunci Airbnb a San Francisco con l’uso di dati. Decisi di provare a fare lo stesso per il mio quartiere. Avevo una buona competenza tecnologica di base e nel giro di tre mesi imparai le tecniche di data scraping e visualizzazione delle informazioni necessarie per raccogliere ed elaborare i dati sugli affitti di Airbnb a Brooklyn. Con i primi risultati ho capito che c’era una storia da raccontare. Ho esteso la ricerca all’intera città di New York, lavorando ai primi prototipi del sito e confrontandomi con altri hacker e attivisti che lavorano con gli open data nei hackerspaces della città. A marzo 2015 ho messo online la mappa degli annunci Airbnb a New York, corredata da una spiegazione dei dati statistici per illustrare come viene usata la piattaforma: ho diviso i dati per tipologie di alloggio – appartamenti interi, stanze, stanze condivise, e per variabili indicative del tipo di attività – prezzo, numero di recensioni e attività, numero di host con più di un annuncio, e così via. Stavo ragionando di lavorare su San Franscisco quando mi contattò un giornalista di Portland, così ad aprile 2015 misi online la mappa degli annunci Airbnb a Portland, poi fu la volta di San Francisco. Il sito oggi conta 46 mappe e le richieste di dati sono in costante aumento.

 

D: Airbnb non rende pubblici i dati. Sono sempre più le amministrazioni cittadine, i giornalisti e gli attivisti che si rivolgono a te per ottenerli. Con chi stai collaborando al momento?

 

R: La collaborazione di Airbnb con le amministrazioni cittadine è semplicemente un mito. Nel 2015 un giudice di New York un ordinò ad Airbnb di fornire i dati sugli annunci brevi in città. A quel tempo non erano disponibili, ed erano in molti a chiederli alla multinazionale. Airbnb inizialmente tentò di ricattare l’amministrazione promettendo la pubblicazione dei dati in cambio della legalizzazione degli affitti brevi. A New York è illegale locare un appartamento intero in cui non sia presente il proprietario per meno di 30 giorni. I dati inizialmente ottenuti per vie legali mostrarono che il 71% degli annunci era illegale. Quando poi Airbnb rese pubblici di New York, io e Tom Slee riuscimmo a provare che erano stati «ripuliti» nei giorni precedenti la pubblicazione, con l’eliminazione di circa mille annunci. In seguito, ho analizzato la discriminazione razziale di Airbnb a New York: sono soprattutto residenti bianchi ad affittare sulla piattaforma, gentrificando la città. Il comune di San Francisco usò i dati di Inside Airbnb per uno studio urbanistico. Oggi abbiamo una collaborazione retribuita per l’invio mensile di dati al Comune, che ha così modo di monitorare la situazione degli affitti brevi. Ho lavorato con altri comuni tra cui Amsterdam e Londra, oltre che con numerosi attivisti e giornalisti di diversi paesi. Venezia è stata la prima città italiana a comparire sul sito dopo la richiesta di dati da parte di Reset Venezia. Stiamo continuando a lavorare su Venezia, anche con Venezia Project di Fabio Carrera. Di solito pubblico i dati per una città quando ricevo una richiesta specifica da parte di una realtà locale con cui instauro un rapporto di fiducia e di lavoro rispetto a un obiettivo comune, e nel tempo è nata una rete di resistenza globale ad Airbnb. Tranne poche eccezioni, come nel caso di San Francisco, la pubblicazione dei dati è gratuita, perché credo che i dati debbano essere pubblici e accessibili.

 

D: Che impatto ha avuto la pubblicazione dei dati su Inside Airbnb?

 

R: Molti giornalisti erano alla ricerca di dati su Airbnb per descrivere il fenomeno. In assenza di dati si basavano su commenti e recensioni online degli utenti. Con la disponibilità di dati il sentimento generale verso Airbnb è mutato, oggi c’è una maggiore consapevolezza del suo impatto negativo sulle città; anche i commenti online sono diventati molto più critici. La fase inziale del dibattito era tutta incentrata sulla dicotomia Airbnb contro gli alberghi, mentre oggi si parla di Airbnb contro le comunità, e questo grazie ad un approccio data-driven. Negli ultimi anni c’è stata una vera e propria ondata di informazioni su Airbnb. I dati semplicemente contraddicono la favola comunitaria di Airbnb.

 

D: Quali sviluppi futuri immagini per il progetto Inside Airbnb?

 

R: C’è ancora molto da fare per regolamentare Airbnb. In generale negli ultimi anni sono state applicate in molte città misure stringenti sugli affitti a breve termine, ma il vero problema è come misurare la loro efficacia. In molte città Airbnb è illegale, ma è difficile rilevare le situazioni di illegalità anche a causa di una diffusa cultura della segretezza dei dati. La pubblicazione di dati resta fondamentale, anche per la pianificazione delle politiche abitative da parte delle amministrazioni comunali. In questo senso un buon modello regolativo è quello adottato dal Comune di San Francisco, che ha imposto per vie legali la cooperazione di Airbnb. Circa un anno fa il Comune si è dotata di un apparato legislativo responsabile, entrato in vigore a gennaio, introducendo l’obbligo di licenze per chi affitta sulla piattaforma. Oggi a San Francisco è relativamente semplice capire chi affitta senza permessi, si fanno controlli mirati in cui si notificano anche il condominio e i vicini, che possono confermare se l’host risiede nell’appartamento o meno. È un buon modello che altre città dovrebbero copiare.

 

D: In Italia Airbnb ha recentemente stretto un accordo con Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBACT) per la rigenerazione dei borghi, in controtendenza con quanto avviene in altre parti del mondo dove c’è una maggiore consapevolezza del rischio, rappresentato dagli affitti turistici, per l’ecosistema urbano. Cosa ne pensi?

 

R: Sto raccogliendo dati su Airbnb in Italia da alcuni anni, sia per le singole città che a livello nazionale. Dovremmo focalizzare l’attenzione su quanto sta avvenendo nelle città d’arte (su Inside Airbnb al momento ci sono soltanto Venezia, Roma e il Trentino), ma anche nei borghi, certamente. Sarebbe interessante confrontare il modello proposto dal MiBACT con quello il piano per la rigenerazione dei borghi in Francia, incentrato su azioni locali, partecipate e dal basso.

 

D: Credi che i danni di Airbnb sulle città siano in qualche modo reversibili?

 

R: Penso che purtroppo non lo siano. I residenti espulsi non torneranno ad abitare nei quartieri turisticizzati, e in molte città sta avvenendo proprio questo. Difficilmente il turismo di massa può diventare sostenibile se non si regolamentano le realtà for-profit. Esistono sicuramente esempi positivi di piattaforme alternative ad Airbnb, come Fairbnb, che mirano a beneficiare le comunità locali attraverso il turismo con un modello cooperativo. Ma affinché le piattaforme alternative funzionino davvero, bisogna prima regolamentare Airbnb.