Recensione a “La vita lucida. Un dialogo su potere, pandemia e liberazione”

ANDREA CENGIA [ITA_22.06.21]

Il dialogo tra Paolo Bartolini (analista filosofo) e Lelio Demichelis (sociologo dell’economia), uscito nel mese di maggio 2021 per la collana Dissidenze di Jaca Book (La vita lucida. Un dialogo su potere, pandemia e liberazione, Milano, 2021) – di Andrea Cengia), si propone il compito di affrontare i temi delle relazioni esistenti tra i concetti di potere, pandemia e liberazione. Si tratta di un testo assai utile per coloro che vogliano osservare il nostro presente, provando a discuterne alcuni scorci significativi. Uno dei meriti del lavoro di Bartolini e Demichelis consiste propriamente nella forma di discussione poiché questa scelta, probabilmente, immagina una tipologia particolare di lettore. Quest’ultimo, immergendosi in una esposizione molto lineare e fluida, può avvicinarsi a temi di portata teorica, politica e sociale, proprio grazie all’intreccio del ‘botta e risposta’ dei due autori.

Uno dei punti di attacco del discorso riguarda il tema della pandemia. Lelio Demichelis sostiene che la pandemia-sindemia è stata «un acceleratore di processi morbosi» che si innestano sulle «molteplici fragilità dell’uomo» (p. 12). Ed è a partire da questa fragilità che Demichelis (che ha già condotto lavori sul tema della condizione antropologico-sociale contemporanea ne La grande alienazione (Demichelis 2018) cerca di leggere la situazione pandemica «come possibilità» (p.12). Ciò che è rilevante è chiedersi cosa significhi e come si delinei questa possibilità. È chiaro che quest’ultima si configura come rottura rispetto agli assetti sociali già consolidati. Qui il discorso diventa molto interessante in quanto inserisce il tema della pandemia nella sua cornice socio-economica di riferimento. Così facendo, la crisi pandemica si configura come la possibilità di fuoriuscita da quel lungo processo che gli autori denominano «tecno-capitalismo» (p. 14). Anche Bartolini ritiene che questo passaggio storico configuri un’occasione da non perdere. Tuttavia, al di là delle opportunità potenzialmente offerte dalla condizione pandemica, per gli autori ciò che sembra prevalere è piuttosto un elemento propulsivo per processi economico-sociali già ben strutturati nello spazio e nel tempo. La realtà che descrivono gli autori non va quindi interpretata secondo la categoria della ‘rottura’, ma con quella della continuità/accelerazione del processo neoliberista (che Demichelis riconduce ai soggetti fondatori Lippmann, von Mises, von Hayek p. 22). Le ragioni del discorso sono subito messe in chiaro: «la pandemia ha evidenziato di nuovo il vecchio e mai risolto conflitto» (p. 14) generato dal tecno-capitalismo, o, si potrebbe dire, dal modo di produzione capitalistico (p. 17). Il suo essere sistema basato su processi di accelerazione mette in mostra in questo frangente «l’incapacità della nostra civiltà […] di adottare un sano principio di precauzione» (p. 18) che evidenzia elementi patologici (p. 18) di una civiltà in declino (p. 18), quello di una società nichilista, come commenta Demichelis (p. 22), dove «ogni consumatore, ogni lavoratore, ogni partecipante ai social è un Peter Pan che non deve crescere» (p. 25). Bartolini ne parla, poche righe più avanti, in termini di «menti sospettose e sovraeccitate» o di gruppi di interesse che proliferano attorno al tema del virus (p. 30).

Tutto questo complesso processo di produzione e di consumo materiale e ideologico viene ricondotto alla formula dell’iper-capitalismo (p. 27). Così il pensiero della Silicon Valley richiama l’idea, non nuova, dell’esistenza de The Californian ideology (Barbrook e Cameron 1995). Si impone qui una considerazione rispetto al concetto di iper-capitalismo. Esso costituisce un tratto di discontinuità rispetto al dispiegarsi storico del modo di produzione capitalistico, oppure il suo tratto accelerato, ‘iper’, non è altro che la conseguenza della sua logica specifica, ossia la sua sintassi accumulativa? Detto diversamente, dalla nascita della grande industria, con le sue forme di sfruttamento e di sussunzione reale, il modo di produzione capitalistico ha sempre cercato di porre come sua condizione di esistenza, vampiresca, la valorizzazione del valore. Perciò, con l’espressione iper-capitalismo non si rischia forse di circoscrivere la critica della sua dinamica interna ad un solo periodo che porterebbe, sebbene indirettamente, ad ‘assolvere’ da ogni responsabilità politica e sociale tutto l’orizzonte di un capitalismo privato del prefisso ‘iper’?

Indirettamente a questo quesito risponde Demichelis riferendosi a Jünger, Marcuse e Zuckerberg. In ogni tempo storico dove opera il modo di produzione capitalistico vi è una costante mobilitazione di energie che assume di volta in volta forme particolari: dalle ruote che devono girare nella prima industria agli algoritmi che devono a loro volta continuare a operare (p. 30) nell’industria 4.0. La forma recente di questa continuità è individuata da Bartolini nel ruolo storico assunto dalle «forze neoliberali» che sono riuscite «in pochi decenni, a rendere naturali […] alcuni principi ideologici ricchi di conseguenze» (p. 33). L’intera vicenda Covid si inserisce in questo quadro più ampio. Ecco uno dei meriti del dialogo tra i due autori: porre il tema del Covid secondo uno spettro temporale di più lunga durata, caratterizzato dal ruolo determinante delle tecnologie digitali, acefale secondo Bartolini (p. 35).

Di fronte a questo stato di cose, la proposta di Bartolini è quella della «necessità di rilanciare una democrazia rigenerata» (p. 36) in grado di rinnovare la rappresentanza politica (p. 36). Ma anche questa lettura, che contiene spunti politici di indubbio interesse, richiede il ritorno all’universo economico, alle sue radici costitutive non tanto nell’iper-capitalismo, ma nel capitalismo in quanto tale. Demichelis, infatti, richiama in più occasioni le osservazioni formulate da Marx nel Libro I del Capitale (p. 39) in merito al tema della valorizzazione senza freni, e quindi all’idea marxiana che il capitalista sia «il tesaurizzatore razionale» (Marx [1867] 1989, 186).

Certamente il problema politico è quello del governo dei processi mondiali (p. 40) e della loro riconfigurazione storica che è in pieno corso a partire dall’emergenza Covid. Tuttavia, il dilemma di fondo consiste nella tensione tra individualità e prospettiva sovra individuale che caratterizza la forma di razionalità dominante. Si pensi ad esempio all’idea marxiana secondo la quale il ruolo del capitalista, del tesaurizzatore razionale, è a sua volta una delle «personificazioni» (Marx [1867] 1989, 118), «Charaktermasken» (Marx e Engels 1962, 100) di un gioco di ruoli molto più grande e impersonale. Il libro dedica a questa tematica uno spazio specifico, osservando come il tecno-capitalismo si configuri per la sua ubiquità e la sua pluralità: il suo essere nessuno e tutti, un luogo specifico e ovunque, hard e soft (p. 47). Qui il percorso, sulla scia della riflessione heideggeriana, richiama al rilievo non neutrale della tecnologia, ma pone il problema politico del ruolo del Demos (p. 49). Quest’ultimo, con Demichelis, è certamente eterodiretto da forze impersonali, ma c’è da sollevare la questione relativa al fatto che, marxianamente, tale stato di cose non ha origine naturale ed è determinato storicamente. Da questa consapevolezza parte una possibilità politica di rigenerazione. Si tratta della costruzione di un processo egemonico di tutti coloro che in modi differenti contribuiscono con il loro sfruttamento al processo di accumulazione. Tale sistema può essere conteso in quanto destino.

Al tema del potere nel tecno-capitalismo, è dedicato un ampio passaggio argomentativo del dialogo tra Bartolini e Demichelis. Il primo elemento demistificante posto da Bartolini, a mio avviso di grande interesse, riguarda il concetto di innovazione, ossia il fatto che «il sempre uguale viene spacciato per nuovo» (p. 53) portando ai processi di immedesimazione segnalati da Demichelis a partire da Marcuse (p. 57). La loro presenza contribuisce a produrre il passaggio dalla fabbrica alla società anticipato da Raniero Panzieri (p. 61).

Ovviamente i temi presenti nel testo, in questo e in altri ambiti, sono molto più ricchi di quanto non si possa rendere in questa breve recensione. Il dialogo offre infatti una serie di spunti multidimensionali, non ultimo quello legato alla dimensione del desiderio (p. 67) che chiama in causa interrogazioni circa la natura umana per come è presentata da Paolo Virno (p. 71). Una considerazione ulteriore potrebbe essere ripresa a partire da Foucault e Han (p. 78) circa il ruolo ‘volontario’ di sottomissione al potere, la «sussunzione felice» (p. 85). Viene infatti da chiedersi se ed eventualmente come, si configuri qui lo spazio per le istituzioni scolastiche ed educative. La risposta critica alla pedagogia dominante non può che arrivare dalla critica alla visione dominata dal totem dell’impresa e dell’imprenditorialità del progetto Transform (p. 162-163).

Rispetto alle premesse, la soluzione proposta dal testo consiste nel principio che occorra spezzare il dominio del tecno-capitalismo, per usare l’espressione di Bartolini l’«Uno del tecno-capitalismo» (p. 91). Impresa sulla quale non si può che essere d’accordo, ma che richiede un grande sforzo di definizione di questa prospettiva politica (p.89). Qui si aprono degli spazi di notevole interesse. (p.90). La prospettiva proposta, pare di intendere, è quella di un superamento —rottamazione è il termine utilizzato da Demichelis riferendosi anche ad Anders (p. 90). Questo passaggio esclude tuttavia ogni «riciclaggio del vecchio» (p. 90). Qui si potrebbe chiedere un surplus di indagine agli autori. La prospettiva proposta rimane storicamente lineare e progressiva? Come si configura per gli autori l’idea di un «universale aperto» di François Jullien (p. 99)? L’esclusione del passato non confligge con la possibilità di considerare come spazio politico la molteplicità presente nella storia?[i] Infatti gli autori affrontano il tema parlando del «potere delle piccole idee» (p. 141) sullo sfondo dell’orizzonte nichilista che caratterizzerebbe la modernità (p. 155).

Sono temi questi che la terza parte del libro ‘Oltre la gabbia di silicio’ cerca di mettere in luce a partire dal confronto con la dimensione pervasiva della fabbrica. Fa piacere trovare riferimenti alla figura di Raniero Panzieri che al tema della fabbrica e della tecnologia in fabbrica ha dedicato grande attenzione. L’ottica di fabbrica assunta da Demichelis è, a mio avviso, una scelta felice perché permette di osservare le continuità di sistema rispetto alle superficiali discontinuità. Da questo punto di vista, Demichelis critica in particolare il concetto di infosfera utilizzato da Floridi affermando che essa «non è qualcosa di nuovo ma qualcosa che da sempre accompagna le società umane» (p. 110). A partire da qui, merita di essere discusso il concetto di «dipendenza» (p. 117) generato dalle nuove tecnologie. Emerge così una inversione rispetto alla narrativa corrente dei moltissimi «tecno-entusiasti» (p. 103) secondo i quali l’innovazione tecnologica, all’interno della nostra società, rappresenterebbe una forma di emancipazione. Al contrario, Demichelis, citando Masullo, sostiene l’idea della tecnologia come sfida/minaccia alla libertà dell’uomo (p. 121). Rispetto alla mole di riflessioni evocate da questi temi, gli autori si impegnano, nella parte conclusiva del testo, in molteplici prospettive, non ultima, quella della riflessione antropologica. Per caratterizzarla il testo descrive temi come la Qualità, la Quantità, il Desiderio e il rapporto con il tempo (p. 189).

Le conclusioni sono affidate ad una riflessione di Miguel Benasayag il quale, tra l’altro, riporta il discorso degli autori sul piano delle sue implicazioni politiche, ricordando come «i populismi di ogni colore parlano in nome della pancia delle persone, ma lo fanno senza offrire alcuno sviluppo creativo e critico alle impressioni ingenue e talora vitalistiche delle masse» (p. 199). Ecco qui un nodo fondamentale. Infatti, nella tensione tra quest’ultima dimensione, nominata da Benasayag e quella della razionalità strumentale descritta da Bartolini e Demichelis non sembra presentarsi un nucleo politico in grado di mettere in discussione entrambe queste figure della contemporaneità. Si tratta di una questione politica e teorica, forse la questione, che richiede ogni giorno di più di essere affrontata.

 

 

Bibliografia

Barbrook, Richard, e Andy Cameron. 1995. «The Californian ideology». Mute 1 (3). https://www.metamute.org/editorial/articles/californian-ideology.

Bartolini, Paolo, Lelio Demichelis, e Miguel Benasayag. 2021. La vita lucida. Un dialogo su potere, pandemia e liberazione.

Demichelis, Lelio. 2018. La grande alienazione. Narciso, Pigmalione, Prometeo e il tecnocapitalismo. Milano: Jaca Book.

Fineschi, Roberto, a c. di. 2005. Karl Marx: rivisitazioni e prospettive. Milano: Mimesis.

Marx, Karl. (1867) 1989. Il capitale: Critica dell’economia politica. Libro primo. Tradotto da Delio Cantimori. Roma: Ed. Riuniti.

Marx, Karl, e Friedrich Engels. 1962. Werke Bd. 23. Berlin: Dietz.

Tomba, Massimiliano. 2019. Insurgent universality: an alternative legacy of modernity. New York: Oxford University Press.

 

[i] Su questo tema si veda, ad esempio (Tomba 2019)